Che Jessica Fletcher porti sfiga ad ogni evento, cerimonia, inaugurazione, crociera, campo nudisti o rave party che frequenti lo sanno tutti coloro che le sono sopravvissuti. Ma altrettanto sorprendente, e meno decantata, è la precisione matematica con cui ogni volta gli investigatori di Cabot Cove si accingono ad arrestare la persona sbagliata.
Persino se facessero ambarabaciccicoccò sui passanti il loro sistema giudiziario ne trarrebbe giovamento, acciuffando i colpevoli con esiti decisamente migliori. E invece ogni volta fanno scattare le manette sui polsi della persona sbagliata sinché non arriva la modesta, ma al tempo stesso assertiva, signora Fletcher a far notare al commissario di polizia che le sue deduzioni sono state approssimative, i suoi ragionamenti fallaci e i suoi conseguenti arresti un po’ a cazzo di cane.
Signora Fletcher, però mi duole farle osservare che quando qualcuno la ucciderà, la polizia arresterà la persona sbagliata.
Ed è proprio quello che successe quella mattina, quando un tizio non identificato sgranò l’intero rosario di proiettili della sua colt nella schiena di Jessica Fletcher che tramortì al suolo in una pozza del suo stesso sangue.
Vi risparmio le reazioni drammatiche dei conoscenti, sorvolo sui tentativi di soccorso, glisso sulle urla dei passanti, sul lutto cittadino, sui messaggi di cordoglio del sindaco e delle autorità locali. Queste cose immaginatevele per conto vostro, io preferisco arrivare subito al sodo, e cioè alle indagini della polizia di Cabot Cove, che questa volta doveva trovare l’assassino privata della rete protettiva consuetamente offerta da Jessica, sprovvista della sua supervisione di maestrina con le manette rosse, senza i suoi preziosi consigli e riferimenti, senza il cartello “P” di principiante inesperto alla guida di un’indagine così importante.
La pistola fu ritrovata in un cassonetto di fianco al cadavere, con le impronte digitali disegnate a matita sull’impugnatura, due guanti entrambi sinistri, macchie di sangue che profumavano di fragola e un cartello con su scritto “E’ scappato di là”. Gli agenti covavano il timore che fosse stato appositamente lasciato qualche falso indizio, dopotutto era sempre così che venivano infinocchiati. Come procedere?
Inizialmente cercarono tutti i conoscenti di Jessica che avevano la risata sardonica. Quelli sono sempre i primi ad essere sospettati. Poi si concentrarono su quelli con lo sguardo truce, poi ancora su quelli antipatici e infine su quelli che non lasciano trasparire le proprie emozioni. Ma tutti costoro avevano alibi di ferro: nel giorno dell’omicidio erano stati a Boston durante la maratona a commerciare pentole a pressione.
Arrestarono perciò un’altra sospettata: la migliore amica di Jessica, un’anziana donna sulla sessantina, per la semplice ragione che stava indossando lo stesso cappotto con cui la signora Fletcher era stata vista due giorni prima.
“E’ un omicidio premeditato, eseguito a sangue freddo per impossessarsi del capo di abbigliamento. Le donne litigano sempre per questo genere di cose” affermò senza convinzione il commissario, che per una volta non aveva nessuno lì a correggerlo.
“Ma questo cappotto è sempre stato mio!” rispose l’indiziata “l’ho comprato assieme a Jessica durante una svendita 2 capi al prezzo di 1. E se guardate bene Jessica lo porta ancora addosso, sciagurati!”
“Lei sta mentendo ed è evidente. Il suo è un cappotto verdino, mentre quello del cadavere è a chiazze rosse”
Ma forse la donna aveva ragione.
Le indagini proseguirono, gli interrogatori non lasciarono un attimo di tregua ai tenaci ma incapaci poliziotti.
Dopo circa una settimana, una rosa di circa una dozzina di persone non aveva fornito validi alibi e per vari motivi erano ancora sospettate dell’omicidio.
Le indagini svolte non sembravano offrire alcuno sbocco sinché ad uno degli agenti non venne in mente un’idea interessante.
“Eureka” disse l’agente.
“Che succede? Hai scoperto il colpevole?”
“Ma no, figurati. Ma sarà ancora Jessica a trovarlo!”
“Oddio, e come? Dici che lei aveva previsto tutto come sempre e in uno dei suoi libri è già spiegato tutto il caso?”
“Ah, non ci avevo pensato! Credo che la tua idea sia migliore della mia”
“Ok, ma sentiamola comunque”
“No dai, mi vergogno. E’ davvero un’idea idiota, lasciamo perdere”.
“E sentiamola comunque, dai”
“Credimi, è l’idea più stupida che sia mai stata immaginata. Ascoltami, leggiamo i suoi libri”
“Non mi va di leggere tutti i suoi libri ora, dai! ne avrà scritti oltre un centinaio. Su, spiegami la tua idea”
“Ok, ma preannuncio che è una stupidata”
Gli spiegò la sua idea. E decisero di adottare quella perché i libri di Jessica sono veramente tanti.
Pausa per creare un po’ di suspence e farvi brancolare un po’ nel buio. In questo momento starete borbottando tra voi e voi “Chissà cosa avranno escogitato i goffi agenti di Cabot Cove”.
Gli agenti portarono tutti gli indiziati in centrale. “Disponetevi in cerchio” disse il commissario.
“Che succede? Dovete interrogarci di nuovo?”
“Dobbiamo fare il test della verità?”
“Dobbiamo incolparci l’un l’altro come in un gioco di ruolo?”
“Dobbiamo ripetervi i nostri alibi per vedere se ce li ricordiamo ancora?”
Tutti metodi a cui gli agenti non avevano pensato, e che sarebbero stati usati come piano B, C, D ed E. Qualsiasi cosa pur di non leggere i libri della Fletcher.
“Nulla di tutto questo” rassicurò il commissario “Jessica Fletcher troverà l’assassino anche questa volta”.
Tutti i presenti restarono sbigottiti. Cos’avevano in mente?
Pausa per… no vabbè arrivo subito al dunque.
L’agente trascinò per i piedi il corpo esanime di Jessica Fletcher al centro del cerchio umano che si era creato. Gli indiziati assistevano inorriditi alla scena, una di loro, una ragazzina poco più che diciottenne, vomitò. Che fossero rigurgiti di coscienza? Potrebbe essere…
“Povera Jessica. Spero acciuffino il tuo assassino” disse suo cugino di Washington.
“Cara amica, riposa in pace” disse la sua vicina pettegola.
“Mi mancheranno i tuoi libri” disse la sua amica collezionista che li riceveva sempre in regalo e li rivendeva su ebay.
“Mi mancheranno i tuoi libri” disse il suo editore che adesso stava pensando chi potesse rimpiazzarla nella collana ‘Thriller borghesi’.
“Mi mancheranno i tuoi libri” disse il bibliotecario che gliene aveva prestati sei e adesso era un casino rimetterli in inventario.
“Non mi mancheranno affatto i tuoi libri” pensò il suo amante segreto che cominciava un po’ a stufarsi di sentirsi raccontare quelle intricate trame tutte le sere anziché giocare alla criminale e al poliziotto in camera da letto.
Di sicuro il vero assassino stava sudando freddo in quel momento, dinanzi al cadavere della scrittrice. Ma nessuno degli agenti pensò a questa banale nozione di psicobiologia. Invece cosa fecero: le presero rispettosamente un braccio, pace alla sua anima, e glielo sistemarono sotto il busto, per fare da perno; l’altro braccio invece glielo stesero in avanti; le piegarono le gambe all’indietro per limitare l’attrito e cominciarono a farla roteare come in un macabro gioco della bottiglia.
E Jessica Fletcher roteava, roteava, roteava, come una ruota della sfortuna, con l’indice puntato con fare accusatorio alla ricerca del suo stesso assassino, nel suo ultimo caso da risolvere.
“Ma è assurdo, non vorrete mica farci credere che questo sia un metodo di indagine accettabile!”
“E’ abominevole, voi siete pazzi”
“Io me ne vado” disse la sua cara amica, prima di essere trattenuta a forza da un agente.
Le contestazioni continuarono sinché Jessica non smise di ruotare fermandosi con il dito puntato, modesto e al tempo stesso assertivo, contro il suo editore di New York che era a Cabot Cove per discutere con lei del romanzo giallo a cui stava lavorando da diverse settimane.
Il silenzio calò nella stanza, come per attendere la reazione dell’uomo. All’improvviso nessuno più contestava, anzi sembrava quasi che tutti confidassero nell’imperitura abilità investigativa di Jessica, anche al di là della sua esistenza stessa.
Tutti guardavano l’uomo corpulento di circa quarant’anni, con l’abito firmato, le sue scarpe italiane e il suo riporto così ben steso e pettinato da farlo sembrare quasi un parrucchino. E sulla sua fronte, sudore, tanto sudore. Sotto le sue ascelle, chiazze umide e un olezzo che ormai annullava la barriera del buon deodorante di marca. Nessuno di loro aveva fatto caso a questi dettagli, Jessica Fletcher, come al solito, sì.
Cos’aveva da dire a sua discolpa? Non ci si libera così facilmente dal dito accusatorio della signora in giallo, considerato infallibile quanto le affermazioni del Papa in una enciclica.
Inaspettatamente, o forse no, l’editore scoppiò in lacrime “Lo confesso, sono stato io”.
Il vocio dei presenti riprese, trasformandosi in clamore.
“Sono stato io!” ammise il povero forestiero, messo alle strette da una logica investigativa soprannaturale “Doveva consegnarmi il finale del nuovo romanzo e non l’aveva ancora approntato perché era troppo presa dal risolvere i casi polizieschi della vostra cittadina. Così ho pensato di ucciderla e aggiungere al suo libro un finale a caso. E poi lucrare sulle vendite di un’artista defunta che come ben sapete sono sempre più…” insomma, elencò una serie di motivi pallosi che non ci interessano.
Quello che ci interessa è che anche stavolta la signora Fletcher aveva ragione. Ho sbagliato a credere che il suo vero assassino non sarebbe mai stato acciuffato. Aveva ragione anche su di me.
Al suo funerale la gente era visibilmente affranta. Ma quello che i presenti non sapevano affatto è che al suo posto fu sepolto un fantoccio con una parrucca bionda. La vera Jessica Fletcher fu tenuta nascosta e imbalsamata in centrale, per continuare a trovare i colpevoli di tutti gli omicidi di Cabot Cove e dintorni. Fu anche noleggiata per i casi più difficili delle contee confinanti e per due o tre indagini federali.
Chi pensate abbia acciuffato quei ceceni?
Eh.