Woj’s Anatomy

E’ incredibile come la maggior parte dei santi si fermi a due miracoli e poi, subito dopo la santificazione, perdano i poteri guaritori.
E come ne abbiano puntualmente guarito uno in vita e uno dopo la morte. Poi stop.
Sarebbe forse il caso di piantarla con queste facili beatificazioni e santificazioni. Non per la giusta e sacrosanta venerazione che questi supereroi meritano gli sia riservata, ma per fini prettamente medici. Il mondo sarebbe un posto migliore se si costringesse persone con queste capacità a dare il meglio di sé, se le si spronasse a usare i propri superpoteri per guarire i poveri malati dalle sciagure mediche da cui sono afflitti.
Ad esempio, tu Wojtyla, sostieni di aver realizzato già un secondo miracolo? Nah, non ci crediamo. Ritenta, sarai più fortunato. Impegnati di più. Sei bravo ma non ti applichi. Intanto in corsia 2 ne ho uno con un morbo così raro che stiamo decidendo che nome dargli.  Te ne occupi tu? O lascio fare a Ratzi che non ha ancora realizzato nemmeno mezza guarigione in vita? Ci sarebbe anche il servo di Dio Giussani che freme per occuparsene. E ad ogni vostra guarigione effettuata noi diremo “No. C’è una spiegazione scientifica. Oppure è stato solo culo, e non un vostro intervento sovrannaturale”. Sai quante guarigioni in più? Il trucco rimane sempre quello di non santificarli fino ad almeno la ventesima miracolosa guarigione.
Io riserverei un’idea del genere alla prossima riforma sanitaria. Decuplicazione delle guarigioni e baracconate da santificazione diminuite. Una soluzione che ha solo aspetti positivi.
Io immagino questi candidati beati e santi come tirocinanti di Scrubs, con lo stetoscopio attorno al loro spiritico collo, che gironzolano per gli ospedali e controllano encefalogrammi, cartelle cliniche e valutano dosaggi di preghiere per ciascun paziente.  “E’ lupus” dice uno di loro, montandosi la testa, ma gli altri storcono il naso e lo trovano fuori luogo. Ci tengono a fare bella figura. Si impegnano seriamente per riuscire a compiere quei due cazzo di miracoli e poter finalmente finire su quelle che per noi sono semplici immaginette, ma per loro sono biglietti da visita professionali con cui bullarsi nell’aldilà, curriculum da esibire per dimostrare quanto hanno saputo fare. Ok, ma poi?
Tu, madre Teresa, ad esempio. Di te si conteggiavano centinaia di supposte guarigioni. Ma poi quella prognosi in hindi è stata tradotta meglio e abbiamo capito che quel ‘supposte’ era sostantivo e quindi non sei stata tu ma la scienza medica. Qundi anche tu ti sei limitata alle due canoniche guarigioni.  E dopo? Più nulla, zero, nessuna guarigione sbandierata, nessuna malattia debellata, nessuna vita salvata. Del tipo “Che me frega, ormai so’ Santa”.  Stai morendo di rendita.
A me sembra che a voi interessi solo la notorietà per finire su un calendario, e niente affatto della salute della gente. S’i fossi papa vi desantificherei.

L’ultimo caso della Signora in Giallo

Che Jessica Fletcher porti sfiga ad ogni evento, cerimonia, inaugurazione, crociera, campo nudisti o rave party che frequenti lo sanno tutti coloro che le sono sopravvissuti. Ma altrettanto sorprendente, e meno decantata, è la precisione matematica con cui ogni volta gli investigatori di Cabot Cove si accingono ad arrestare la persona sbagliata.
Persino se facessero ambarabaciccicoccò sui passanti il loro sistema giudiziario ne trarrebbe giovamento, acciuffando i colpevoli con esiti decisamente migliori. E invece ogni volta fanno scattare le manette sui polsi della persona sbagliata sinché non arriva la modesta, ma al tempo stesso assertiva, signora Fletcher a far notare al commissario di polizia che le sue deduzioni sono state approssimative, i suoi ragionamenti fallaci e i suoi conseguenti arresti un po’ a cazzo di cane.

Signora Fletcher, però mi duole farle osservare che quando qualcuno la ucciderà, la polizia arresterà la persona sbagliata.

Ed è proprio quello che successe quella mattina, quando un tizio non identificato sgranò l’intero rosario di proiettili della sua colt nella schiena di Jessica Fletcher che tramortì al suolo in una pozza del suo stesso sangue.

Vi risparmio le reazioni drammatiche dei conoscenti, sorvolo sui tentativi di soccorso, glisso sulle urla dei passanti, sul lutto cittadino, sui messaggi di cordoglio del sindaco e delle autorità locali. Queste cose immaginatevele per conto vostro, io preferisco arrivare subito al sodo, e cioè alle indagini della polizia di Cabot Cove, che questa volta doveva trovare l’assassino privata della rete protettiva consuetamente offerta da Jessica, sprovvista della sua supervisione di maestrina con le manette rosse, senza i suoi preziosi consigli e riferimenti, senza il cartello “P” di principiante inesperto alla guida di un’indagine così importante.
La pistola fu ritrovata in un cassonetto di fianco al cadavere, con le impronte digitali disegnate a matita sull’impugnatura, due guanti entrambi sinistri, macchie di sangue che profumavano di fragola e un cartello con su scritto “E’ scappato di là”. Gli agenti covavano il timore che fosse stato appositamente lasciato qualche falso indizio, dopotutto era sempre così che venivano infinocchiati. Come procedere?
Inizialmente cercarono tutti i conoscenti di Jessica che avevano la risata sardonica. Quelli sono sempre i primi ad essere sospettati. Poi si concentrarono su quelli con lo sguardo truce, poi ancora su quelli antipatici e infine su quelli che non lasciano trasparire le proprie emozioni. Ma tutti costoro avevano alibi di ferro: nel giorno dell’omicidio erano stati a Boston durante la maratona a commerciare pentole a pressione.

Arrestarono perciò un’altra sospettata: la migliore amica di Jessica, un’anziana donna sulla sessantina, per la semplice ragione che stava indossando lo stesso cappotto con cui la signora Fletcher era stata vista due giorni prima.
“E’ un omicidio premeditato, eseguito a sangue freddo per impossessarsi del capo di abbigliamento. Le donne litigano sempre per questo genere di cose” affermò senza convinzione il commissario, che per una volta non aveva nessuno lì a correggerlo.
“Ma questo cappotto è sempre stato mio!” rispose l’indiziata “l’ho comprato assieme a Jessica durante una svendita 2 capi al prezzo di 1. E se guardate bene Jessica lo porta ancora addosso, sciagurati!”
“Lei sta mentendo ed è evidente. Il suo è un cappotto verdino, mentre quello del cadavere è a chiazze rosse”
Ma forse la donna aveva ragione.
Le indagini proseguirono, gli interrogatori non lasciarono un attimo di tregua ai tenaci ma incapaci poliziotti.
Dopo circa una settimana, una rosa di circa una dozzina di persone non aveva fornito validi alibi e per vari motivi erano ancora sospettate dell’omicidio.

Le indagini svolte non sembravano offrire alcuno sbocco sinché ad uno degli agenti non venne in mente un’idea interessante.
“Eureka” disse l’agente.
“Che succede? Hai scoperto il colpevole?”
“Ma no, figurati. Ma sarà ancora Jessica a trovarlo!”
“Oddio, e come? Dici che lei aveva previsto tutto come sempre e in uno dei suoi libri è già spiegato tutto il caso?”
“Ah, non ci avevo pensato! Credo che la tua idea sia migliore della mia”
“Ok, ma sentiamola comunque”
“No dai, mi vergogno. E’ davvero un’idea idiota, lasciamo perdere”.
“E sentiamola comunque, dai”
“Credimi, è l’idea più stupida che sia mai stata immaginata. Ascoltami, leggiamo i suoi libri”
“Non mi va di leggere tutti i suoi libri ora, dai! ne avrà scritti oltre un centinaio. Su, spiegami la tua idea”
“Ok, ma preannuncio che è una stupidata”
Gli spiegò la sua idea. E decisero di adottare quella perché i libri di Jessica sono veramente tanti.

Pausa per creare un po’ di suspence e farvi brancolare un po’ nel buio. In questo momento starete borbottando tra voi e voi “Chissà cosa avranno escogitato i goffi agenti di Cabot Cove”.

Gli agenti portarono tutti gli indiziati in centrale. “Disponetevi in cerchio” disse il commissario.
“Che succede? Dovete interrogarci di nuovo?”
“Dobbiamo fare il test della verità?”
“Dobbiamo incolparci l’un l’altro come in un gioco di ruolo?”
“Dobbiamo ripetervi i nostri alibi per vedere se ce li ricordiamo ancora?”
Tutti metodi a cui gli agenti non avevano pensato, e che sarebbero stati usati come piano B, C, D ed E. Qualsiasi cosa pur di non leggere i libri della Fletcher.
“Nulla di tutto questo” rassicurò il commissario “Jessica Fletcher troverà l’assassino anche questa volta”.
Tutti i presenti restarono sbigottiti. Cos’avevano in mente?

Pausa per… no vabbè arrivo subito al dunque.

L’agente trascinò per i piedi il corpo esanime di Jessica Fletcher al centro del cerchio umano che si era creato. Gli indiziati assistevano inorriditi alla scena, una di loro, una ragazzina poco più che diciottenne, vomitò. Che fossero rigurgiti di coscienza? Potrebbe essere…
“Povera Jessica. Spero acciuffino il tuo assassino” disse suo cugino di Washington.
“Cara amica, riposa in pace” disse la sua vicina pettegola.
“Mi mancheranno i tuoi libri” disse la sua amica collezionista che li riceveva sempre in regalo e li rivendeva su ebay.
“Mi mancheranno i tuoi libri” disse il suo editore che adesso stava pensando chi potesse rimpiazzarla nella collana ‘Thriller borghesi’.
“Mi mancheranno i tuoi libri” disse il bibliotecario che gliene aveva prestati sei e adesso era un casino rimetterli in inventario.
“Non mi mancheranno affatto i tuoi libri” pensò il suo amante segreto che cominciava un po’ a stufarsi di sentirsi raccontare quelle intricate trame tutte le sere anziché giocare alla criminale e al poliziotto in camera da letto.
Di sicuro il vero assassino stava sudando freddo in quel momento, dinanzi al cadavere della scrittrice. Ma nessuno degli agenti pensò a questa banale nozione di psicobiologia. Invece cosa fecero: le presero rispettosamente un braccio, pace alla sua anima, e glielo sistemarono sotto il busto, per fare da perno; l’altro braccio invece glielo stesero in avanti; le piegarono le gambe all’indietro per limitare l’attrito e cominciarono a farla roteare come in un macabro gioco della bottiglia.
E Jessica Fletcher roteava, roteava, roteava, come una ruota della sfortuna, con l’indice puntato con fare accusatorio alla ricerca del suo stesso assassino, nel suo ultimo caso da risolvere.
“Ma è assurdo, non vorrete mica farci credere che questo sia un metodo di indagine accettabile!”
“E’ abominevole, voi siete pazzi”
“Io me ne vado” disse la sua cara amica, prima di essere trattenuta a forza da un agente.
Le contestazioni continuarono sinché Jessica non smise di ruotare fermandosi con il dito puntato, modesto e al tempo stesso assertivo, contro il suo editore di New York che era a Cabot Cove per discutere con lei del romanzo giallo a cui stava lavorando da diverse settimane.
Il silenzio calò nella stanza, come per attendere la reazione dell’uomo. All’improvviso nessuno più contestava, anzi sembrava quasi che tutti confidassero nell’imperitura abilità investigativa di Jessica, anche al di là della sua esistenza stessa.
Tutti guardavano l’uomo corpulento di circa quarant’anni, con l’abito firmato, le sue scarpe italiane e il suo riporto così ben steso e pettinato da farlo sembrare quasi un parrucchino. E sulla sua fronte, sudore, tanto sudore. Sotto le sue ascelle, chiazze umide e un olezzo che ormai annullava la barriera del buon deodorante di marca. Nessuno di loro aveva fatto caso a questi dettagli, Jessica Fletcher, come al solito, sì.
Cos’aveva da dire a sua discolpa? Non ci si libera così facilmente dal dito accusatorio della signora in giallo, considerato infallibile quanto le affermazioni del Papa in una enciclica.
Inaspettatamente, o forse no, l’editore scoppiò in lacrime “Lo confesso, sono stato io”.
Il vocio dei presenti riprese, trasformandosi in clamore.
“Sono stato io!” ammise il povero forestiero, messo alle strette da una logica investigativa soprannaturale “Doveva consegnarmi il finale del nuovo romanzo e non l’aveva ancora approntato perché era troppo presa dal risolvere i casi polizieschi della vostra cittadina. Così ho pensato di ucciderla e aggiungere al suo libro un finale a caso. E poi lucrare sulle vendite di un’artista defunta che come ben sapete sono sempre più…” insomma, elencò una serie di motivi pallosi che non ci interessano.
Quello che ci interessa è che anche stavolta la signora Fletcher aveva ragione. Ho sbagliato a credere che il suo vero assassino non sarebbe mai stato acciuffato. Aveva ragione anche su di me.

Al suo funerale la gente era visibilmente affranta. Ma quello che i presenti non sapevano affatto è che al suo posto fu sepolto un fantoccio con una parrucca bionda. La vera Jessica Fletcher fu tenuta nascosta e imbalsamata in centrale, per continuare a trovare i colpevoli di tutti gli omicidi di Cabot Cove e dintorni. Fu anche noleggiata per i casi più difficili delle contee confinanti e per due o tre indagini federali.
Chi pensate abbia acciuffato quei ceceni?

Eh.

Resurrezione

Se vi telefonassero per dirvi che quel vostro zio deceduto è risorto, come reagireste? Personalmente dubito che fareste salti di gioia.
Uno. Chi cazzo lo conosceva? Era un parente alla lontana che avete incrociato per strada un paio di volte negli ultimi dieci anni. Vi siete scambiati gli auguri durante le festività comandate, ma poi chiusa lì. Rischiereste di averlo visto più spesso da morto che da vivo.
Due. Siete già stati al suo funerale. Doverci andare una seconda volta quando la chiamata sarà definitiva è molto scocciante. Ormai gli hai messo un segno di spunta su. Queste cerimonie a presenza obbligatoria sono una rottura, chiedere di partecipare nuovamente è decisamente troppo. Scusami zio ma è così.
Tre. Avete già speso soldi in omaggi floreali oppure avete sprecato un’opera di bene. E’ un periodo di crisi, e dover scialacquare denaro in questo modo è spiacevole. Proverete a staccare i manifesti funebri dal muro nella speranza di poterli riutilizzare quando sarà giunto il vero momento, magari aggiornando gli anni del defunto con l’uniposca nero. Ma è comunque un fastidio.
Quattro. L’impresa di pompe funebri tratterrà la caparra.
Cinque. Quando lo pseudodefunto tirerà per davvero le cuoia non saprete se seppellirlo definitivamente o attendere un altro po’.
Sei. Come ci si regola con i necrologi? Si invia un’errata corrige? Si proclama una smentita? Si attende? metti che la ricaduta alla vita è solo temporanea, non si sa mai.
Sette. Magari siete anche eredi e avevate già programmato qualche spesa con il lascito previsto. Un nuovo tablet, un’automobile più potente, nuovi mobili in soggiorno. Tutti sogni che sarete costretti a rimandare.
Otto. Il fatto che vostro zio abbia una vita tutta nuova come i gatti o i personaggi dei videogiochi vi farà rosicare di invidia.

Insomma, come dovremmo atteggiarci?
Nella società moderna abbiamo protocolli comportamentali per tutte le vicissitudini immaginabili, cerimoniali particolareggiati per qualsiasi dettaglio concepibile: il colore delle bomboniere per le feste di laurea, il modo di tagliare la torta per i novelli sposini durante un matrimonio, l’ordine di salita sulle scialuppe in caso di naufragio, ma nessun suggerimento su cosa fare in caso di resurrezione di un parente. Si pranza al ristorante? Si invitano i familiari? Fino a che grado di parentela? Si prepara una lista resurrezione per fare qualche dono al resuscitato? Si balla? Si dice auguri o si pronuncia condoglianze al contrario? “eznailgodnoc!”

La letteratura in merito è sorprendentemente esigua. Null’altro si dice ad esempio su Lazzaro, se non che appunto resuscitò. Non resta che soffermarsi sull’altra famosa resurrezione: la Pasqua. E analizzandola ci si rende conto che anche per la più celebre rinascita della storia la reazione non è affatto entusiastica.

A Natale siamo tutti più buoni, a Pasqua possiamo tranquillamente continuare a comportarci da stronzi.
Natale con i tuoi, Pasqua devi trovarti degli amici con cui organizzare una scampagnata o sembrerai uno sfigato.
A Natale le città si addobbano a festa, a Pasqua è lo stesso mortorio di sempre. Tutt’al più qualche bar organizza qualche sorteggio per un uovo di Pasqua. Novanta persone che finanziano la felicità di uno solo. Patetici.
I film di Natale sono belli: Una Poltrona per Due o qualche classico della Disney. I film di Pasqua sono una noia mortale, fatta eccezione per la scena delle frustate della Passione di Cristo. Ad esempio c’è “Il Vangelo secondo Matteo” di Pasolini, che per quanto puoi seguire attentamente solo a fine film capirai che quel nerd coi capelli neri a caschetto è proprio Gesù, e non un discepolo che lo scimmiotta.
A Natale c’è una corsa contro il tempo per riuscire a comprare regali adeguati ad amici e parenti. A Pasqua vai al supermercato per la consueta spesa e chiederai “Mi dia anche quell’uovo della Lindt”. “Non è Lindt, è Ling, una copia cinese che costa la metà”. “Meglio ancora! Me ne dia due”.
A Natale si mangia bene, benissimo. Cenoni, pranzi regali, colazioni al bar con gli amici. A Pasqua è tutto basato sulla cioccolata e ciò ti condannerà a passare la Pasquetta nel bagno chimico più vicino al tuo picnic.

Direi che il messaggio sociale di tutto ciò è abbastanza chiaro: una volta che sei morto, evita di rifarti vivo, hai già rotto i coglioni una volta, risparmiaci il bis.

The Hurt Locker

Qualche altro minuto e l’ordigno sarebbe esploso, ma per fortuna erano già lì davanti due ottimi artificieri. Era un dispositivo classico, perfettamente tipico, quasi didattico, senza alcun fronzolo, senza alcuna trappola. Un zac al filo giusto (ed entrambi gli esperti sapevano quale) e tutti tranquilli a casa dalle proprie mogli e bambini.

– Perfetto, è una cosa banalissima. Mi serve solo un paio di forbici. Mi presteresti le tue?
– Come sarebbe che non hai portato le forbici? Ti contattano per venire a disinnescare un esplosivo e non porti con te un paio di forbicine?
– Le ho dimenticate a casa, mea culpa. Ma spero che la cosa si possa risolvere, non trovi?
– Col cazzo. E’ una cosa gravissima! Un artificiere dovrebbe sempre avere con sé le sue forbicine d’ordinanza. Io le mie non te le presto affatto, è scritto nel regolamento che non posso cederle a nessun altro.
– Nemmeno se ne va della tua vita?
– Nemmeno in quel caso.
– Quindi ora che facciamo? Scheggio una selce sinché non mi diventa affilata? Ma qui intorno è tutto tufo, così tenero che si taglia con un filo rosso. Ma cos’è? Gelosia? Vuoi mica occupartene tu? Per me va benissimo.
– Assolutamente no. Nel telegramma di chiamata il nome in cima è tuo, io sono al secondo posto. Come un banalissimo assistente, ed è quello che mi limiterò a fare.
– Appunto, assistimi.
– No, il mio compito è unicamente quello di segnalarti se stai sbagliando. Ed è esattamente quello che sto facendo, non hai portato con te le forbici e stai combinando un casino!
– Ma quante storie! Prestamele due secondi e abbiamo risolto!
– No! Se proprio vogliono che questo marchingegno non esploda ci spediscano un secondo telegramma di chiamata. Questa volta col mio nome in cima e il tuo al secondo posto come aiutante.
– Scherzi vero? Cazzo, sbrigati che il tempo sta quasi scadendo, dammi quelle cazzo di forbici. L’alternativa è cedere al ricatto di chi ha piazzato qui la dinamite.
– E mi sa che dovrete fare proprio così.

(continua alle 10.00 in streaming su Lacosa)

Saputelli

C’è qualcosa che non vuoi sapere? C’è un’informazione che non hai assolutamente richiesto? Una notizia di cui non hai assolutamente bisogno? Non preoccuparti, ci sono i saputelli di Twitter che te la forniranno ugualmente.

140 caratteri sono troppo pochi per spiegare qualcosa nei dettagli? Per dare una informazione ed elencare le opportune eccezioni? Non ti restano lettere a sufficienza per entrare nei particolari, per fare i dovuti distinguo? Tranquillo, arriveranno senz’altro i saputelli di Twitter per donarti altri 140 caratteri di corroboranti chiose.

Ti infastidiscono quelli che su Twitter non fanno informazione, ma preferiscono utilizzare i loro tweet per creare stupide frasi senza senso, inutilmente umoristiche, poetiche o ad effetto, in cui richiedono al lettore della deleteria sospensione dell’incredulità? Non pensarci, un saputello di Twitter è sempre dietro l’angolo per far tornare l’incredulità con i piedi ben saldi per terra e decorare con tutti i dettagli la sacra Verità.

Ecco un esempio di twitstar adeguatamente smerdata:

Eccone un altro che sbrodola classificazioni incomplete:

Saputelli, grazie per rendere Twitter un posto migliore.

Sospetti

Caro nonno,io ti voglio bene, lo sai.  Mi fido di te, credo in ciò che mi dici.

Ma…

se venissero a dirmi che sei accusato di appropriazione indebita,

direi “Maddai!!!! Mio nonno???? Ma non farmi ridere!”

E se tornassero per dirmi che sei accusato di diffamazione e rivelazione segreti d’ufficio,

penserei “Ma no, su, di sicuro ci sarà qualche errore, qualche svista, qualche equivoco”, anche se comincerei a guardarti con occhi diversi.

E se insistessero per dirmi che sei colpevole anche di corruzione, concussione aggravata, falso in bilancio, frode fiscale, favoreggiamento alla prostituzione minorile, ecc…

beh… Io dopotutto mica ti seguo 24 ore su 24. Mica so cosa ci fai tu con i libri contabili delle tue aziende, non li ho mica letti, e se li avessi letti mica sarei capace di capire se nascondono qualche segreto, qualche illecito, qualche truffa. Mica so chi sono quei signori che ogni tanto vengono a trovarti. Non ho mica idea di cosa vi dite tu, il tuo avvocato e il tuo commercialista. Non ho mica ascoltato quelle telefonate in cui sbraitavi contro i tuoi interlocutori. Mica ho idea di chi sia quella giovane badante che viene a prendersi cura di te, ogni sera diversa dalla precedente. Mica ho visto cosa c’è dentro quelle valigette che quei tizi in abito scuro vengono a portarti ogni sabato. Non mi sono mai chiesto quale fosse l’origine della sontuosa paghetta che ogni settimana mi elargisci così generosamente.

E pur convinto della tua innocenza (ti conosco, non credo tu ti sia macchiato di tali colpe), qualche sospetto comincerei ad averlo. Ma non disperare, alla fine so che c’è una spiegazione.

Quindi, caro nonno, caro innocentissimo nonno, io lo so che nascondi qualcosa. Non so precisamente cosa, ma sappi che se necessario, anche se non ho lo straccio di una prova a tua difesa, anche se non posso fornirti nemmeno mezzo convincente alibi, io manifesterò sempre e comunque in tuo favore.

Il confessore

Nemmeno il tuo confessore ufficiale ti conosce così a fondo come il tuo tecnico del pc.
Non l’idraulico, che al massimo può scoparsi tua moglie;  non l’elettricista, che può sapere come disattivare l’antifurto quando non sei in casa, e in combutta col tuo fabbro che ha un duplicato delle tue chiavi può svaligiartela; non il tuo commercialista, che non può nemmeno ricattarti perchè sempre complice; non il tuo avvocato, al quale non sei tenuto a raccontare la verità.
In fatto di privacy, è il tecnico informatico colui che devi temere.

Specie, se, come è capitato a me, sei un professore anziano di oltre sessant’anni, che ha bisogno di qualcuno che ti spieghi come mai sul computer “il Google non va”.
A noi tecnici basta una veloce occhiata, un flash, un movimento da nulla per accedere alla tua cronologia, alla tua cache, ai tuoi preferiti, senza che tu ti renda conto di nulla. E apprendere all’istante le tue abitudini di navigazione, le tue opinioni, i tuoi orientamenti, i tuoi hobby, le tue idee e soprattutto: i tuoi gusti in fatto di porno.

Questo professore sulla sessantina è il conoscente di un mio amico. Mi ha pregato di andare a sistemargli il pc, su cui non ho capito di preciso cos’è che succede. Il mio amico sembrava divertito “vai a vedere cosa combina il professore col computer”. Sghignazzava.
E io ero più che mai incuriosito.
E dopo appena tre minuti sulla sua postazione mi faccio già un’idea: è un gran segaiolo. Molto piů di me. Chissà se anch’io riuscirò ad arrivare così arzillo a quell’età.
In ogni caso, al di là dei tanti problemi di rallentamento del suo pc (che generalmente risolvo sbrigativamente con una capatina in msconfig.exe, o se proprio necessario in services.msc), il suo browser sembrava essere esclusivamente adoperato per siti porno e per facebook. Che tra l’altro non sapeva nemmeno usare. Era consapevole di aver accettato le amicizie di qualche conoscente, ma ne ignorava totalmente l’uso, le modalità per interagire, per scrivere status, per condividere post altrui, per mandare messaggi di saluto in privato.
Dopo un po’, allibito, scopro che il povero ingenuo anzianotto aveva commesso l’imperdonabile errore di segnare la spunta su “Ricordami la password”. Il che di per sè non è poi così grave, ma lo diventa se abbinato ad un’altra sorprendente abitudine. Dopo un giro sulla sua bacheca, noto qualcosa di enormemente imbarazzante. Per lui. E un po’ anche per me che ero lì ad assistere.
Ora la motivazione dello sghignazzo del nostro comune amico era lampante.
Ignoro se ne fosse cosciente, ma lo sfortunato insegnante aveva l’infelice abitudine di cliccare ‘Mi piace’ sui video dei siti porno che visitava. Avrei giurato che nessuno al mondo lo facesse, e invece gli anziani sprovveduti sì. E ora si ritrovava una bacheca strapiena di audaci filmatini a luci rosse. E ne era del tutto inconsapevole, almeno credo.

Mentre mi facevo un’idea dell’enorme bagno di vergogna in cui si era inconsapevolmente sommerso, lui era al mio fianco, e in qualche modo sentiva il bisogno di giustificarsi. Lo precedetti io: “E’ pieno di pubblicità a luci rosse qui. Dev’esserci entrato un virus” mentii, mentre facevo sparire schermate imbarazzanti, per lasciargli un po’ di dignità.

I video porno da cancellare erano troppi, non riuscivo a toglierli tutti, men che meno lì davanti a lui. E soprattutto: è così necessario cliccare su ‘Mi piace’?
Forse avrei dovuto parlargli chiaramente a quattr’occhi e dirgli che la donna del video gode comunque, a prescindere dai suoi rassicuranti segnali di apprezzamento.  Dovevo fargli capire che quei ‘Mi piace’ non sarebbero giunti alle orecchie della donna, che quei clic non sono colpetti interattivi. Ma poi se anche fosse, perchè dovrei togliergli quella illusione? Esco da Facebook e rientro, devo controllare una cosa.
“Bisogna rientrare, serve la password, può digitarla lei”.
Ormai totalmente fiducioso in me non si avvicina nemmeno alla tastiera, me la detta “Dovrai insegnarmi a usare Facebook”.
“Spero di no” penso tra me e me. E a voce dico “Magari un’altra volta. Qui c’è tanto altro da sistemare”.
Mi dice la password, rientro.
Fingo di aver risolto, in realtà non ho risolto un cazzo.  Decido che me ne sarei occupato a casa, con calma, ormai ho la sua password. Cancellare quei video porno davanti a lui era biodegradante per entrambi.
Dopotutto, il suo giro di parenti e amici avrà già capito benissimo che ha un debole per le asiatiche tettone vestite da infermiere.
Decido di andarmene, il più è fatto. A fine intervento il suo pc è decisamente piů veloce, gli installo un antivirus gratuito (ne era sprovvisto), e gli sistemo altre cosette di cui aveva bisogno per il suo lavoro. Resta solo quel ‘problemino’ sul social network.
“Quanto ti devo?” mi chiede.
“Ma niente, si figuri, lo consideri come un favore al nostro comune amico”
Lo pensavo davvero, certe cose servono solo a migliorare i rapporti.
“Ma no, qualcosa devo pur dartela” e impugnava un biglietto da 50 euro.
“Ma no, davvero, non importa” ho insistito.
“Come vuoi” rimise la banconota in tasca. “Sei stato gentilissimo, grazie di tutto, finalmente ora posso tornare a lavorare”.
“Di nulla, è stato un piacere. Arrivederci”.

Dopo oltre due ore di lavoro, e soprattutto per aver dovuto immaginarmelo mentre si smanettava su quei video che io stesso ho potuto visionare, tornavo a casa a mani vuote. Lo so, me l’ero cercata. Sono un idiota. Avrei dovuto accettare quei soldi. In questo periodo mi farebbero particolarmente comodo.
Tornato a casa mi occupo immediatamente del professore. Eh, i professori. Mi sono sempre stati un po’ sul cazzo. Quindi c’era da aspettarselo che facesse lo stronzo. Sì ok, sono stato io a rifiutare, ma lui avrebbe potuto benissimo insistere un altro po’.
Ma sono di animo nobile, e ora entro sul suo profilo facebook per cancellargli tutti quei video di scolarette asiatiche che ci danno dentro con quei cazzetti quadrettati dalla censura nipponica. Gli pulisco completamente la bacheca.
E gliela infarcisco di mi piace a video porno tra transessuali. Tirchio del cazzo.
Doveva insistere con quei 50 euro.

Internet Cafè

Ciao, scusami, no no no no no

non sono Amanda92, si è allontanata un attimo.

Sono semplicemente un cliente di questo Internet Cafè ed ero seduto accanto a lei, non la conosco nemmeno.

Volevo solo farti presente che quando lei scrive “Ahahahhahaha”, in realtà non ride affatto.

Però è carina, in bocca al lupo.

Campagna antifumo

“Passami la pipa” chiese Magritte.
“Quale, questa?”
“No”
“Questa qui?”
“No”
“Forse questa?”
“No”
“Non sarà mica questa?”
“No”
(…)

Pasticcini

“Salve. Mi dia quel pasticcino lì in fondo”.
“Non si può. Posso darle solo quello in cima”.
“Ma sembra schiacciato, voglio quello in fondo”.
“Se non le piace quello in cima scelga un altro vassoio. Io posso darle solo quello in cima”.
“Che assurdità! Vabbè non mi va di stare a discutere, mi dia quello in mezzo a quell’altro vassoio”.
“Gliel’ho già detto, non posso darle quello in mezzo, ma solo quello in cima. Vale per tutti i vassoi”.
“Ma che storia assurda è?”
“Signor Calderoli, ci ho ripensato, si levi dai coglioni”.